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Con uno zio in vacanza nelle Ardenne
Avete notato l’incredibile divisione che si è creata ultimamente tra i sopravvissuti ed i loro sostenitori? Percepisco una forte spinta, dietro questa ondata di accuse interne alla rete, che ha lo scopo di creare caos all’interno dei ranghi, così che il pubblico arrivi a non sapere più a chi dar credito e a chi no, fino a non dare più alcuna attenzione alla questione dell’abuso organizzato. Purtroppo la creazione di divisioni sembra funzionare molto bene.
Ho incontrato Regina Louf, il testimone principale per il caso Dutroux, aka X1, una volta. E’ stato intorno al 2000 durante un dibattito che si teneva in un caffé belga molto affollato tra due giornalisti; uno che difendeva la sua testimonianza, che indicava una rete estesa di Vip, l’altro che esprimeva i suoi dubbi e sospetti.
Osservando il tono confidenziale e la mancanza di rispetto coi quali il giornalista scettico Pol Deltour si rivolgeva a Regina Louf, che si trovava tra il pubblico, e come quest’ultimo la attaccasse cercando di discreditarla, ho capito che non ero assolutamente pronta per farmi avanti con la mia storia. Avevo già rivelato alcune cose all’altro giornalista del dibattito, che mi aveva presentata a Regina senza specificare che anche io ero una sopravvissuta della rete. Ma questo fu tutto.
Una volta rientrata negli Stati Uniti, qualche settimana dopo l’ho chiamata. Non ricordo perché, volevo provare a tirare fuori l’argomento indirettamente, ma ricordo che le dissi che anche io ero stata una vittima di abusi nella rete belga.. Lei fu molto diretta e gentile, ed io apprezzai il suo senso dello humor. Ad un certo punto, stavo descrivendo un aguzzino la cui immagine mi tornava spesso alla memoria, alto, biondo, giovane, indossava spesso un paio di jeans con una maglietta bianca o una camicia di jeans, oppure una maglia a righe, da marinaio. Lei si chiedeva se non potesse trattarsi di Patrick Haemers.
Nonostante questa telefonata mi abbia cambiato la vita, Regina e io non abbiamo mai più parlato. I ricordi con Patrick Haemers mi invadevano e in futuro avrebbero dominato le mie sedute terapeutiche per anni.
Alcuni anni fa, venni a sapere che una criminologa e terapeuta belga che aveva avuto un ruolo nell’affare Dutroux e che aveva continuato a parlare pubblicamente mi stava discreditando. Alcuni post su reddit contenevano screenshot nei quali mi accusava di far parte dell’opposizione controllata. “Sta mentendo sulla sua storia. L’ha presa da Regina Louf (X1).” (vedi sotto). Questa terapeuta/criminologa si definiva anche sostenitrice dei sopravvissuti e spesso faceva riferimento al suo stretto legame con Regina Louf.
Quando mi sono confrontata con lei, mi ha spiegato che il suo account sul social media era stato hackerato, che lei sta dalla parte dei sopravvissuti e che non avrebbe mai detto una cosa del genere. Abbiamo parlato per ore e, un po’ di tempo dopo, dovendo andare in Belgio per girare un documentario sugli abusi della rete “Les Survivantes”, ci siamo date appuntamento nel villaggio medievale dove viveva e ci siamo incontrate nel giardino di un ristorante locale, con la troupe al seguito.
Prima del viaggio, mi avevano chiesto come avessi ricordato il nome di Patrick Haemers, ed io avevo semplicemente risposto alla domanda. Dal 2020, avevo parlato qualche volta con il marito di Regina Louf - perché lei non stava bene - così, prima di partire per il Belgio, gli ho chiesto se poteva chiedere il permesso a Regina di parlare del contenuto della conversazione che avevamo avuto più di 20 anni prima, perché non sapevo se lei lo aveva mai pubblicamente divulgato. Siccome non avevo ricevuto risposta, chiesi alla criminologa se poteva rivolgersi a loro, lei stessa. La criminologa mi mostrò lo schermo del suo telefono, con la risposta, che diceva che Regina non ricordava di aver mai parlato con me e che non si ricordava di me e mi disse che non lo trovava strano, dal momento che Regina aveva parlato con così tanti sopravvissuti durante quegli anni.
Il giorno dopo il nostro incontro la criminologa ed io facemmo un’intervista. Ovviamente, non mi serve un permesso per dire che Regina ha dato un nome a qualcuno che quasi nessuno in Belgio, in quel momento, poteva riconoscere basandosi sulla mia descrizione. Durante quell’intervista ho chiarito anche che avevo parlato con Regina Louf soltanto una volta nel 2000, ed ho aggiunto che Regina non ricordava la nostra conversazione, per non generare equivoci facendo sembrare che fossimo in stretto contatto, mentre non lo eravamo. Ho evitato i contenuti più delicati della nostra conversazione.
Per tutto il tempo che ho parlato, non ho ricevuto quasi nessun sostegno pubblico da nessuno di quelli connessi con l’affare Dutroux. Ci fu soltanto un appoggio (vedi sotto), in un commento su Facebook, da parte di uno dei poliziotti che inizialmente investigavano sul caso, Michel Clippe, col quale ho fatto diverse videochiamate.
Anche se speravo che Regina avesse voglia di mettersi in contatto con me (dopo che diverse volte le avevo chiesto di intervistarla per i miei podcast) e dopo averle dimostrato il mio supporto, sento che non sarebbe stato giusto, in ogni caso, aspettarsi qualcosa, non soltanto per le sua condizioni fisiche e per il fatto che non era apparsa in pubblico per anni. Ma speravo che la criminologa, che non aveva mai smesso di raccogliere interviste, potesse almeno mettere le cose in chiaro, diffondere i commenti diffamatori e confermare il suo supporto.
La mia sorpresa è stata grande, dunque, quando di recente mi ha criticata per un banale problema di utilizzo delle parole. Ho inviato una mail piuttosto rabbiosa, ed ho ricevuto una risposta altrettanto rabbiosa, che mi ha causato un blocco traumatico.
Affrontiamolo: Sono stata 4 volte da Regina (e suo marito) e 4 volte le ho chiesto se avesse mai sentito parlare di te, nell’arco di alcuni anni. Faccia a faccia. Il giorno prima che tu venissi in Belgio mi hai chiamata di nuovo per chiedermi se Regina poteva confermare di averti detto che fu Patrick Haemers a salvarti…”
Ero già così agitata che non ho nemmeno fatto caso all’enorme distorsione: dal fatto che Regina mi avesse detto il nome di qualcuno che era infamato in Belgio, al fatto di essere testimone diretta del mio drammatico salvataggio dalla rete.
Nella sua mail la criminologa scrisse che non capiva perché io continuassi a mentire su questo. Questa accusa, che proveniva dal contesto belga, mi ha mandata in panico. Potei appena finire di leggere quello che seguiva, qualcosa circa 18 persone, in paesi diversi, che non si conoscevano tra loro e che l’avevano contattata per confermare che io avevo subito abusi all’interno della rete, ma non come li stavo riportando. Il suo messaggio terminava con un’altra nota sulle bugie. “Non puoi fare questo.”
Diciotto persone! Un numero sorprendente di sopravvissuti o di infiltrati - chiunque essi fossero - che le dimostravano fiducia - qualsiasi cosa fosse - perché lei non avrebbe divulgato quello che tutte queste persone le avevano riferito. La mia supposta vera realtà, nascosta a me da un velo di segretezza in una mail confusa ed accusatoria.
Mi sentivo come se stessi avendo un attacco di cuore, facevo fatica a respirare. Mi sono ritrovata indietro, nella mia infanzia, dopo un orrendo abuso, che reagivo all’accusa di essere una bugiarda, barcollando, cadendo, ripiegandomi su me stessa, di nuovo sopraffatta dall’orribile dubbio che tutto quello che sapevo potesse essere falso.
La mia pelle dev’essere grigia. Ogni muscolo è tirato e rigido. Provo ad immaginare il mio Io Genitoriale che viene a confortare quella bambina, tirandola su e portandola via, ma scopro che lei non può ricevere conforto, deve restare in questo blocco, ha bisogno del panico, perché…Una copia leggermente più piccola di questa bambina interiore prende forma, poi un’altra, e poi un’altra un po’ più piccola, e un’altra, e un’altra. Ci sono così tante piccole parti, che sono state chiamate bugiarde, che sono state ingannate. Ce ne sono troppe. Ognuna paralizzata nel terrore più orribile, nella paura che gli aguzzini avessero ragione e che tutta la sua realtà sia sbagliata, falsa, inesistente. Le hanno urlato troppe volte, durante o dopo un abuso sessuale, ed ogni volta una piccola parte ha preso forma.
Questa pesantezza insopportabile, questo peso sul mio petto, questo grigio incredibile. Questa dissoluzione di ciò che io sono, perché possa assorbire la sporcizia, il fango, la grossolanità, che diventa ciò che io devo essere.
No! No! Il mio cuore batte veloce, per la paura di essere una sporca bugiarda.
Ho sbagliato? Ho dimenticato grossi pezzi della mia storia? Mi chiederanno di rendere conto degli errori che ho fatto, dei ricordi sui quali potrei non essere stata precisa?
Non riuscivo a pensare alle possibilità con calma e razionalità, ero sopraffatta, il mio corpo era in uno stato di terrore, la vergogna di un tale scenario sembrava scendere su di me. E tutto questo stava succedendo qualche giorno prima della première del documentario “Les Survivants” in Belgio, in un teatro a Bruxelles - il film che stavamo girando quando avevo incontrato la criminologa insieme all’equipe cinematografica.
Sebbene il lavoro delle parti sembrasse impossibile, ho pensato subito che questa circostanza e questa persona rappresentavano il prossimo passo per il mio sviluppo. Questa affermazione, queste parole del mio maestro Yogananda, non mi hanno mai abbandonata durante la mia prova.
Se non dormo, l’unico modo per calmare il mio corpo e la mia mente è fare kriya yoga, la tecnica pranayama che fa parte della mia pratica di meditazione. Inspirare a lungo. Espirare a lungo. Concentrandosi solo sul respiro. Nell’immobilità che viene dalla pratica, emergono visioni profonde.
Ho pensato allora che fosse impossibile che diciotto persone, che avevano vissuto quegli orrori insieme a me, e che erano stati testimoni degli abusi su di me quando ero una bambina, avessero tutti preso contatto con questa criminologa, e non con me. Perché io non avevo mai sentito nessuno che menzionasse nulla di simile? Perché nessuno avrebbe voluto che io conoscessi la verità?
Mi sembrava una mossa che la rete poteva escogitare. Se diciotto persone avessero saputo qualcosa di importante che io non sapevo, non posso immaginare che tutti i diciotto avrebbero voluto affermare che io sono un’ingannatrice, piuttosto che avessi fatto un errore, che nessuno di loro avesse avuto compassione. Ho il grande privilegio di aver incontrato esattamente una persona che avevo visto durante la mia infanzia nel contesto della rete. Ritrovarsi e scambiarsi dettagli preziosi sulle nostre esperienze da bambini è stata una cosa sacra, bella e potente.
Se questa criminologa belga mi crede bugiarda, chi ne trae beneficio?
Anche lei se lo domanda, solo che lo rivolge contro di me, come se io avessi detto bugie che rischiavano di venire scoperte, e nuocere alla causa: “Ma, quello che viene detto deve essere la Verità, e solo la Verità. Questo campo devastante è troppo vulnerabile e può venire distrutto in un attimo.”
Cieca al proprio contributo a questa stessa distruzione, mi ha chiesto: “Suppongo che siano tutti bugiardi? Tutti i 18?” Suppongo che lo siano. Suppongo che la rete sappia bene ciò che sta facendo.
Quando ho capito questo, ho iniziato a sentirmi sollevata - di solito è un segno che la verità sta emergendo. Ieri c’è stata la prima di “Les Survivantes”, e sebbene io sia negli USA, ero presente in videochiamata, e mi è stata mostrata la grande sala cinematografica di Bruxelles piena. I bei visi dei miei compagni sopravvissuti sorridevano dal palco, alla fine del film, rispondendo alle domande del pubblico. Amo queste donne. Volevo essere là.
Mi chiesero se volevo dire qualcosa. Vedendo quella folla di centinaia di persone mi sono commossa profondamente, e sono rimasta senza parole. Poi, con voce rotta ho parlato: “Ho sempre un po’ paura del Belgio, per le mie esperienze d’infanzia, ma vedervi tutti qui è un miracolo. Non avrei potuto sognarlo in un milione di anni. Posso solo dirvi grazie, grazie, con tutto il cuore.”
Dal telefono, mi è arrivato un applauso roboante; la gente si è alzata in piedi per una standing ovation, ed io mi sono messa a piangere.
Tutte queste accuse che volano, da sopravvissuti ad altri sopravvissuti, da sostenitori a sostenitori, da sopravvissuti a sostenitori e da sostenitori a sopravvissuti. Non riesco più neppure a leggere sui social network, perché alcune di quelle persone che prima postavano le loro semplici testimonianze, adesso si impegnano a definirsi come le vittime ingiustamente attaccate, e come vittime si sentono giustificate a lanciare accuse. Non credo che la maggior parte di queste persone faccia parte della rete, ma credo che ne siano state influenzate, così come credo che la criminologa belga si sia lasciata influenzare dall’adulazione. 18 persone da diversi paesi richiedevano il suo parere! Una trappola perfetta, preparata dagli addetti della rete che sono veri esperti, che scoprono le debolezze di qualcuno con estrema facilità, nel suo caso, il suo bisogno di essere vista come un’autorità, come un’esperta - per poi fare appello a quell’ego, per accedere.
Abbiamo tutti una bussola interna, che ci guida verso la verità. Se la confusione può portarci dentro di noi, per guarire, per arrivare ad una maggiore consapevolezza di noi stessi, allo stesso modo possiamo venirne fuori con una maggiore chiarezza, per superare questa grande spinta verso il caos.
Sopra: apertura del lungometraggio documentario che intervista i sopravvissuti agli abusi organizzati, all'SRA e al controllo mentale “Les Survivantes” a Bruxelles.