Umiliazione
Durante i primi tre anni nei quali venni usata nel network belga come bambina “usa e getta”, ho incontrato molti uomini disgustosi, che godevano nel trattarmi come tale. Le loro proiezioni di disgusto, le loro azioni per provare che non valevo niente, le loro parole di disprezzo mi arrivavano, ma non ci credevo totalmente. La mia me di sei, sette o otto anni riusciva a mantenere una certa distanza dal loro atteggiamento nei miei confronti, pensando sempre che erano loro ad essere disgustosi, a fare cose schifose, ad essere depravati. Anche se sentivo tutto, sapevo che ero solo una bambina e che quelle reazioni estremamente negative di quegli estranei non potevo essere io a provocarle.
Ho perso quel distacco a nove anni, quando un addetto della rete globale a cui ero stata regalata come un dono da usare e poi, se avesse voluto, da buttare via, improvvisamente, come per miracolo, iniziò ad interessarsi a me. Invece di vedermi come una cosa sporca e senza valore, aveva visto bellezza e ricchezza. Iniziò, dunque, a prepararmi perché io imparassi a sfruttare tutte le qualità positive che avevo. Fui portata negli Stati Uniti, dove rimasi per un po’ nella sua residenza privata, abituandomi alla vita lussuosa e all’ambiente dei più ricchi. Mentre io finalmente avevo trovato una figura paterna che aveva visto ed apprezzato le mie qualità, lui si impegnava in un addestramento intensivo per sfruttare tutti i modi possibili in cui avrei potuto portare vantaggi a lui e al network.
Dal 1972 al 1973, da quando avevo nove anni, fino ai dieci, sono stata addestrata per ricoprire un ruolo pubblico come attrice e cantante francese, e per il mio ruolo di addetta come schiava sessuale dell’élite, come spia e altro. L’addestramento mi portò a dissociarmi tanto facilmente quanto i miei aguzzini. Gli orrori del network, con l’aiuto di una grande quantità e varietà di droghe che hanno fatto parte del mio addestramento fin dall’inizio, furono spinti nelle profondità di una densa nebbia, coperti, nascosti a me stessa, perché non li rivelassi mai.
Contro ogni regola del network, proprio prima che il mio ruolo diventasse ufficiale, almeno nel senso del network segreto, fui gravemente umiliata da una cantante gelosa e da suo marito. Era come se avessero distrutto il giochino segreto del mio padrone, che era stato caricato in un modo molto preciso perché fosse in grado, al momento giusto, di caricare un uomo specifico in un modo specifico. Quando la coppia ebbe finito con me, io mi sentivo a pezzi, e in quello stato avrei dovuto adempiere al rito finale, il tocco finale che avrebbe fatto di me un giochino perfetto: solare, bella e sexy per il pubblico, cattiva, assassina, priva di scrupoli per il network.
Anche se sapevo che rifiutare di compiere il rito significava il fallimento del mio scopo, la mia coscienza si risvegliava, riuscii a recuperare la distanza e quando rividi il mio padrone, questo giocattolo si ribellò.
Quest’uomo, che appariva come una gentile figura paterna, ma che nell’ombra, in segreto mi aveva violentata, drogata e venduta, reagì immediatamente e con forza. Immagino che a volte, quando un altro bambino rompe il tuo giocattolo, tu possa reagire distruggendolo completamente, in un impulso rabbioso.
Nel network, l’umiliazione è uno strumento dalle molte sfaccettature, soprattutto perché la motivazione che spinge molti illustri membri a parteciparvi è di sfuggire alle loro stesse umiliazioni infantili, ed acquistare potere per non dover mai più provare quel profondo sconforto, quella vergogna imbarazzante. Le società segrete locali che alimentano il network globale con i loro metodi di addestramento usano riti di umiliazione per ogni passaggio successivo, per imprimere profondamente il loro ridicolo sistema gerarchico nella psiche dei loro adepti. Nelle sfere più alte di questa gerarchia, dopo che diversi livelli sono stati superati, i membri che sono personaggi pubblici devono superare riti di umiliazione in pubblico, che siano ben evidenziati dalla stampa, per assicurarsi che l’avvenuto rituale sia noto a quelli che sanno. Sono schiavi, ma i bravi schiavi ottengono buone ricompense che si misurano col successo, la visibilità e l’immunità da ogni eventuale conseguenza per qualsiasi scandalo che li vede coinvolti.
Gli schiavi cattivi e i giocattoli rotti, però, verranno umiliati solo per essere puniti. Nel mio caso, dopo la mia breve ribellione fui umiliata continuamente, per diversi giorni, per riprogrammarmi, per scaricare il giocattolo prima di assicurarsi che finisse nei rifiuti. Questo avvenne dentro un grande edificio, da qualche parte in Germania, dentro una grande gabbia sospesa in un seminterrato nella quale venni rinchiusa. Poi mi portarono in un livello sotto il seminterrato, un sotterraneo con celle medievali dove venni incatenata al muro, con le braccia aperte e i polsi bloccati dai ferri. La mia cella aveva una porta di legno molto pesante, e una finestra sbarrata. Sentivo le urla di uomini adulti, come se venissero interrogati e torturati.
Di recente ho sentito come un peso sul torace, avevo la tachicardia e facevo fatica a respirare. Quando ho ascoltato la testimonianza di un sopravvissuto all’abuso rituale satanico (ARS), a questi sintomi si aggiungeva anche il bisogno di vomitare. Il disagio fisico è rimasto, e poi ho sentito anche una sottile minimizzazione da parte di una persona che prima era stata rispettosa in un modo che mi aveva fatta sentire in imbarazzo. Ho una lunga storia di persone che inizialmente mi guardano proprio come mi guardavano quegli addetti del network quando ero una schiava sessuale di alto grado e venivo trattata come una star. Queste controfigure immancabilmente cambiano la visione che hanno di me, e dall’altro lato della loro esaltazione si nasconde la loro proiezione negativa, il loro disprezzo.
Cercando di riflettere su questo disagio fisico, una vocina mi diceva che stavo attirando le proiezioni negative di quelle persone perché queste potessero disfarsene. Ho visto, allora, che avevo sempre fatto qualcosa, evidente o sottile, che avrebbe fatto in modo che quelle persone passassero dal guardarmi dal basso all’alto, al guardarmi dall’alto in basso. Quando mi sono chiesta cosa fosse, che cosa volessi superare, ho visto immediatamente la mia me di dieci anni, incatenata in quella cantina, col mio padrone che versava sulla mia testa un secchio pieno di sangue e resti umani, insieme al medico tedesco incaricato del mio addestramento al controllo mentale, a Heidelberg. Non potevo svenire, o rannicchiarmi, coprirmi la faccia o pulire il sangue che avevo addosso. Il mio respiro diventava più affannoso, mentre quel liquido denso mi copriva la faccia. Lo stomaco mi si rivoltava. Anche se questo ricordo non era nuovo, la sensazione fisica e la presa di coscienza di questi profondi schemi di vita che provenivano da questo trauma, lo erano.
Sentivo il mio padrone urlare che questi erano i resti delle mie vittime, che ero così vigliacca e così cattiva da non meritare nulla di buono. La mia prima reazione era pensare che non era possibile che dicesse queste cose a me. Se non fosse stato interessato a me, se non ci fosse stato nessun addestramento, non ci sarebbero state vittime. La colpa di tutto era sua. Una volta mi ero lamentata con lui anche per il controllo mentale, e lui mi aveva risposto che era per rendermi più forte. E’ così che ho scoperto che tutto era diretto da lui, e che lui era li, con quell’uomo che mi aveva costretta, infliggendomi traumi inimmaginabili, a compiere quegli omicidi che erano parte dell’addestramento. In seguito mi sono sentita terribilmente confusa, incapace di immaginare che questi resti umani fossero stati conservati nell’eventualità che servissero per questo scopo improbabile. Non ho mai pensato che potesse mentirmi. Continuava ad urlare contro di me, con la faccia deformata dal disgusto, che ero cattiva, che non valevo niente e che per questo non avrei mai avuto successo. E siccome lui per me era come un padre, io gli credevo.
Quando usciva dalla cella, toccava al medico tedesco continuare col programma di condizionamento, per farmi dimenticare il sotterraneo, il network, per farmi dimenticare ogni possibile futuro e per condizionarmi a suicidarmi se mai avessi ricordato qualcosa. Poi mi lasciavano li, senza pulirmi, con quello che mi avevano versato addosso ancora sulla mia pelle, e sotto i miei piedi. Durante quelle ore i messaggi si fissavano.
Parlandone con un amico, avevo avanzato l’ipotesi che le umiliazioni a cui ero stata sottoposta da parte della cantante e del marito avessero lasciato una forte impronta su di me, che forse per il mio padrone ero già una perdente, e che la sua reazione al mio momento di ribellione fosse in parte dovuta al fatto che le mie vibrazioni fossero quelle di una perdente, di un giocattolo rotto. Empaticamente, il mio amico mi disse che non era d’accordo. Disse che era certo che non fosse affatto una mia debolezza, a motivare il mio aguzzino, ma la mia forza, che aveva riconosciuto nella mia ribellione nella quale aveva intravisto la forza che ho oggi, una forza legata allo spirito, che minacciava di rivelare la sua stessa verità.
Io credo che quella bambina in me abbia sempre avuto paura di essere una perdente, e che il pensiero di vincere e perdere faccia parte del paradigma di insicurezza e trauma che si installa nelle vittime insicure mai guarite dal trauma, che hanno bisogno di sentire ad ogni costo di essere vincenti. Anche se, se fossi stata davvero una perdente, tutto avrebbe avuto più senso. La mia prima reazione verso ciò che era emerso quando mi ero domandata perché volessi farla finita o perché volessi che la gente mi guardasse dall’alto in basso, fu di incredulità, non perché il ricordo fosse oltremodo orrendo, sicuramente non potevo immaginare una storia così orrenda per conto mio, ma non è così insolito, per il network, utilizzare metodi così medievali e grotteschi. Non riuscivo a crederci, perché è difficile per me accettare che la figura paterna che vedevo così grande, intelligente e potente fosse in realtà così stupida, così insicura e così incredibilmente minacciata da una bambina di dieci anni. Ogni guarigione arriva con un altra delusione: questa icona, questa figura genitoriale si mostra per quello che è veramente.
Aveva bisogno delle bambine per sentirsi importante nel network. Nel mondo era una personalità famosa, molti uomini e molte donne avrebbero certamente preso ogni sua parola per oro colato, perché lui era ed è ancora spesso ricordato ed ammirato. Come bambina, per me lui era la cosa migliore che avessi mai conosciuto, ed io lo apprezzavo. Sono certa che molti uomini e donne forse sopprimono, come facevo io in quella stanza degli orrori, la loro iniziale reazione istintiva verso di lui, come un lampo di verità, come quando ho visto la sua ipocrisia, per poi, a seguito delle sue insistenze, tornare nella confusione e finire per credergli. Gli eventi del mondo sono sempre più traumatici, mentre la stampa e gli influencers, costantemente e a ripetizione, riempiono l’etere con quello che dovrà occupare le menti del pubblico.
La dissociazione di questa figure di potere è tale che essi si attaccano alla loro immagine ed alla loro elaborata storia con tutta la loro forza, per non vedere la verità su se stessi, la penosa verità che li fa continuare a fuggire dalle umiliazioni della loro infanzia, mentre si sforzano per mantenere integra l’intera struttura tossica con tutti i suoi giochi e inganni, tutto per la loro fuga personale.
La realtà del male è che quelli che entrano in questo circolo sono così immaturi, al di là della comprensione, al di là della capacità di chiunque di mettere in relazione quella realtà con le bugie che vengono mostrate.
Tutti quelli che hanno un grande pubblico, con una grande visibilità e successo, devono essere osservati partendo dall’umile nozione che non potremmo mai immaginare quanto folli essi possano essere, cosa fanno veramente mentre noi non guardiamo,e quanto oscuri possano essere i loro segreti.